La scomparsa delle agenzie pubblicitarie.

È solo un appunto che mi serve per aprire un confronto in merito alla resistenza delle agenzie genere anni ’90, anzi anni ’80, quando i budget per le agenzie messi a disposizione dai brand erano sempre piuttosto considerevoli.

Probabilmente l’Era dei mammut (mega agenzie – spesso internazionali – con una taglia di intermediazione a doppia percentuale – diretta e indiretta – con centinaia di addetti e con costi inutili e spesso gonfiati all’inverosimile) si è conclusa ormai da un buon decennio, forse due. Così stiamo assistendo alla loro inesorabile estinzione, malgrado ancora siano tanti coloro che fanno fatica ad ammetterlo. Capisco quanto sia dura accettarlo.

Così assistiamo a ignobili tentativi di salvare l’apparenza continuando a parlare delle agenzie vantandone quantità di servizi offerti e, soprattutto, il numero dei componenti (ancora?), mentre intanto i direttori creativi escono dalle agenzie, volontariamente o spinti a farlo, impoverendo di fatto l’efficienza creativa delle strutture.

Sembrerà anacronistico, eppure oggi assistiamo al ritorno dell’artigianalità del mestiere di pubblicitario. Le imprese/clienti ben strutturate, con un brand forte e con un gruppo di manager in grado di “praticare” il marketing, per essere avanti fanno un salto nel passato.

“Quando il brand chiamava direttamente l’artista, come faceva Campari con Depero. Sempre Campari lo scorso Natale (2017, ndr) ha affidato la realizzazione di un’immagine a Ugo Nespolo e ne è uscito un lavoro bellissimo, che utilizza simboli noti ma in modo assolutamente unico.
Questo perché l’artista è artigiano, sperimenta, si spinge oltre, in un processo che richiede tempo e capacità creativa. Un fenomeno in più che ci conferma come, tornando alle agenzie, ‘uno non vale uno’ e che al talento non si può sostituire il metodo.”

[estratto dell’articolo di Daniele Cima pubblicato da BRAND NEWS il 07.02.18]

Ho sempre sostenuto che senza metodo nemmeno un artista può esplorare e sperimentare, nel senso che per nutrire le idee bisogna nutrire il talento ed estenderlo, che un pubblicitario non deve sentirsi un artista, anche se, di contro, l’artista sarà quasi sempre in grado di mettere la sua sensibilità a disposizione del marketing. È sempre stato così.

Quello che può salvare il pubblicitario dall’estinzione sarà sempre la sua capacità di sperimentare, di scavare in fondo, lasciar sedimentare le informazioni e cercare, con la stessa dedizione di un giovane archeologo, l’idea, quella vera, quella che per poter affiorare dall’oblio necessita di tempo. Tempo, che parola sinistra!

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