Noi pubblicitari di tutto il mondo fatichiamo ormai a trovare il modo per tenere gli spettatori incollati allo screen: troppi annunci, troppo ripetitivi e inutili perdite di tempo rischiano di vanificare l’urgenza di fruire l’intrattenimento tanto desiderato dall’utente.

Che fare?
Il team di Unruly, una delle principali piattaforme di video advertising al mondo, in collaborazione con il King’s College di Londra, insieme alla Kent State University, ha pubblicato uno studio sulla scienza dello Skip.

Questi i 5 principali motivi che tentano l’utente a fare tap sul tasto SKIP AD:

  1. La Felicità ostentata e finta indispone lo spettatore
    Eh già. Troppi sorrisi forzati e felicità ostentata all’eccesso rischia di innescare lo skip, soprattutto se l’utente non è dell’umore giusto.
  2. I messaggi emozionali ci tengono incollati allo schermo
    Far ridere o piangere lo spettatore lo tiene impegnato. In contrapposizione alla precedente regola, mostrare un annuncio denso di emotività (anche strappalacrime) tiene il consumatore sul filo del rasoio, procrastinando il momento dello skip.
  3. Mostrare il brand, ma non subito
    Vi piace aprire uno spot con il vostro brand in bella vista? Sbagliato. Questa è davvero una pessima idea, poiché genera sospetti nello spettatore. La soluzione è a portata di mano: prima offrigli l’emozione, solo alla fine il marchio.
  4. Gli spot non convenzionali forse non sono più un’ottima idea
    Un’altra arma per evitare lo skip rimaneva quella di stuzzicare l’attenzione attraverso le “stranezze”. Lo sappiamo, le stranezze attirano l’attenzione. Tuttavia non sempre si comprendere il senso di ciò che intendono comunicare, o peggio non sono strettamente correlate con il posizionamento della marca. Proprio per questo motivo, le soluzioni non convenzionali hanno stancato e non sono più tra le soluzioni più efficaci.
    La creatività deve fare un passo oltre.
  5. Attieniti all’essenziale
    Troppe azioni richieste (call to action) sin dall’inizio? Che palle… skippate pure! Andiamoci piano, attieniti all’essenziale. Gli utenti sono concentrati a ottenere ciò che stanno cercando.
    Ogni cosa a tempo debito. Che fretta c’è? Gli annunci che richiedono meno sforzi funzionano meglio.

Il punto 6 lo aggiungo io, perché da quando l’utente si è reso intraprendente, cioè in grado di guardare negli occhi le marche, sorretto anche dalla moltitudine di associazioni, assistiamo a un crescente senso di “protezionismo agguerrito” per categorie e generi di svariata natura.

  • Urtare la sensibilità altrui può costare caro
    Siamo preda di isterismo collettivo: se si tratta di marketing (e di pubblicità) la levata di scudi a difesa di questa o quella categoria, questo o quel genere, questa o quella religione, questa o quella razza… e poi, ambiente, animali, minori… (lista interminabile), è immediata e talvolta aggressiva. Di fondo ognuno ha le proprie incontrovertibili ragioni, ma dato che la censura che potrebbe compromettere una campagna è dietro l’angolo perché rischiare di ottenere un effetto bombing indesiderato, spesso ingestibile e con effetti incalcolabili a lunga scadenza?
    In questi casi gli “ausili di protezione” sono insufficienti. Meglio pensarci prima di mettere on-air, ponderando i rischi e individuare le soluzioni alternative.

PS: pensavate che fare la pubblicità fosse facile?

L'ABILITÀ DI CAPIRE LA GENTE Parole logore e sobrietà